sabato 4 marzo 2017

Canerantola - parte I


Ultimo bollettino medico:
- BCO ha ancora il torcicollo ma grazie a un bel massaggio delle poltrone massaggianti automatiche del centro commerciale gli è un po' passato.
- TATA sta migliorando pure lei e le è pure passato il male alla gola non appena ha accompagnato BCO a fare un bel massaggio alle poltrone massaggianti automatiche del centro commerciale!
Sigh!
E ora, per tutti voi amanti delle emozioni e forse degli odori forti, pubblichiamo la prima parte del nuovo, fantastico, vecchio, mediocre, aguzzino, fantasioso, mica poi tanto, prevaricante, assordante, Dante, olio, sale, pepe, aglio e torniamo agli odori forti, racconto di mamma BCO intitolato «Canerantola»! Buona lettura!

Canerantola
Liberamente tratta e rimaneggiata dal BCO dalla nota fiaba di Charles Perrault, scritta nel 1697 (quindi scevra da copyright), nella versione, tradotta dal francese, di Carlo Collodi (1875), il quale la sapeva lunga (la lingua francese)!

Parte I

C'era una volta un gentiluomo-lupo, il quale aveva sposata in seconde nozze una donna così piena di albagia[1] e d'aria[2], da non darsi l'eguale.

Ella aveva due figlie dello stesso pessimo carattere del suo, e che la somigliavano come due pessime gocce d'acqua.

Anche il marito aveva una figlia, ma di una dolcezza e di una bontà da non farsene un'idea (anche perché era impossibile assaggiarla); e in queste tirava dalla sua mamma, la quale prima d'aver tirato le cuoia era stata (pace all'anima sua) la più buona donna tirata in ballo, anche se un po' se la tirava. Tirando le somme, Canerantola era proprio figlia di buona donna. Fisicamente, però, somigliava molto di più al papà; e infatti aveano in comune gli stessi baffi ed il folto pelo biondo-cenere, giusto per rimanere in tema.

Le nozze erano appena fatte, che la matrigna dette subito a divedere la sua cattiveria. Ella non poteva patire le buone qualità della giovinetta, perché, a quel confronto, le sue figliuole diventavano più stron... più antipatiche che mai.

Ella la destinò alle faccende più triviali[3] della casa: era lei che rigovernava con pugno di ferro in cucina, lei che spazzava le scale mobili e rifaceva ogni giorno le camere della signora e delle signorine con la cazzuola ed il cemento; lei che puliva i cessi e che dormiva a tetto, proprio in un granaio, sopra una materassa di paglia (cattiva anch'ella), mentre le sorelle stavano in camere coll'impiantito di legno, dov'erano letti d'ultimo gusto (a detta dei tarli), e specchi dell'anima, da potervisi mirare dalla testa fino ai piedi del monte Everest.

La povera figliuola tollerava ogni cosa con pazienza, e non aveva quore di rammaricarsene con suo padre, il quale l'avrebbe certamente sgridata e picchiata con un giornale arrotolato, perché era un uomo-lupo che si faceva menare per il naso in tutto e per tutto dalla moglie, che infatti lo menava anche a passeggio tre volte al giorno.

Quando aveva finito le sue faccende, andava a rincantucciarsi in un angolo del focolare, dove si metteva a sedere rantolando nella cenere; motivo per cui la chiamavano “Enfisema[4] o anche “la Culincenere” od ancora: “Hey, tu!”.

Ma la seconda delle sorelle, che non era così sboccata come la maggiore, la chiamava più “Canerantola”.

Eppure Canerantola, con tutto quel pelo e i suoi cenci, era cento volte più bella delle sue sorelle, quantunque fossero vestite in ghingheri e da grandi signore mediante l'uso di trampoli. Possiamo solo immaginare che razza di strani esseri inguardabili fossero le due sorelle.

Ora accadde che il figlio del Re diede una festa da sballo, alla quale furono invitate tutte le persone di grand'importanza -come Lapo Elkann, per esempio- e anche le nostre due signorine furono del numero (il 17 o il 13, non è dato saperlo), perché erano di quelle che facevano grande spaccio... spicco in paese. Eccole tutte contente e tutte affaccendate a scegliersi gli abiti, il trucco e parrucco, che tornassero loro meglio a viso; una vera impresa! E questa fu un'altra seccatura per la povera Canerantola, perché toccava a lei a stirare e a dare l'amido ai loro capelli e alle loro rughe. Non si parlava d'altro in casa che del come si sarebbero vestite in quella sera e nel frattempo giravano nude per la magione.

"Io", disse la maggiore, "mi metterò il vestito di velluto rosso che ho indossato alla corsa dei tori a Pamplona[5] e le mie la-trine d'Inghilterra."

"E io", disse l'altra, "non avrò che il mio solito vestito: ma, in compenso, mi metterò il mantello di Bat-Man a fiori d'oro e la mia vera collana di diamanti falsi, che non è dicerto di quelle che si vedono tutti i giorni, ma mediamente una volta ogni due giorni."

Mandarono a chiamare la pettinatora di gala, un certo Giandomenico che era di Gela, per farsi fare i riccioli su due righe, e comprarono dei nèi dalla fabbricante più in voga della città; ma quando cominciarono a somigliare troppo a Bruno Vespa se ne tolsero di dosso un po'.

Quindi chiamarono Canerantola perché dicesse il suo parere, come quella che aveva moltissimo gusto (perché era buona e saporita); e Canerantola die' loro i più migliorissimi consigli, e per giunta si offrì di vestirle: la qual cosa fu accettata senza bisogno di dirla due volte, anche perché di vestirsi da sole non lo avrebbero saputo fare.

Mentre le vestiva e le pettinava (tra l'altro contemporaneamente, aiutandosi anche con i denti e con i piedi), esse dicevano:

"Di', Canerantola, avresti caro di venire allo sballo?...".

"È una proposta indecente?" rispose maliziosamente Canerantola, che aveva frainteso.

"Allo sballo del principe, s'intendeva!" risposero all'unisono le sorelle, scuotendo la testa (di Canerantola).

"Ah, signorine! voi mi can-zonate: questi non son divertimenti per me!" disse allora Canerantola, scodinzolando.

"Hai ragione: ci sarebbe proprio da ridere, a vedere una Canerantola, pari tua, a una festa da sballo."

Un'altra ragazza, nel posto di Canerantola, per prima cosa le avrebbe picchiate, poi cosparse di benzina e poi accese con un cerino, e per terza avrebbe fatto di tutto per vestirle male; ma essa era una buonissima figliuola (come detto, figlia di buonissima donna), e le vestì e le accomodò come meglio non si poteva fare anche perché praticamente l'unico vestito con cui stavano veramente bene era il burqa afghano[6].

Per la gran contentezza di questa festa, stettero quasi due giorni senza ricordarsi di mangiare: strapparono più di dodici aghetti per serrarsi ai fianchi e far la vita striminzita; e passavano tutt'intera la santa giornata a guardarsi nello specchio, visibilmente incrinato per lo sforzo. Al terzo giorno ripresero almeno a lavarsi, però.

Venne finalmente il giorno ruttato... scusate, sospirato. Partirono di casa e Canerantola le accompagnò cogli occhi più lontano che poté: quando non le scorse più, si mise a piangere perché aveva sforzato troppo gli occhi, e ad ululare disperata.

La sua Comare, che la trovò cogli occhi rossi e pieni di pianto, le domandò che cazzuola avesse.

"Vorrei... vorrei..."

E ululava così forte, che non poteva finir la parola.

"Vorrei, vorrei esaudire tutti i sogni tuoi...
Vorrei, vorrei cancellare ciò che tu non vuoi però lo sai che io vivo attraverso gli occhi tuoi!" si mise a cantare a quel punto la Comare a Squarciagola, che è il gatto col quale litigava sempre Canerantola[7].

Canerantola immediatamente la picchiò con un grosso ciocco che ardeva nel camino e subito la Comare, che nei ritagli di tempo era una fata, le disse:

"Vorresti anche tu andare allo sballo, non è vero?".

"È una proposta indecente?" rispose Canerantola, che aveva frainteso di nuovo.

"Non sono mica una spacciatrice!" disse stizzita la Comare.

"Anch'io, sì, vi vorrei andarcivi colà, là!" disse infine Canerantola con un gran sospirone e due o tre erroracci di grammatica.

"Ebbene: prometti tu d'essere buona?", disse la Comare.

Canerantola aveva un gran desiderio di morderla ad un polpaccio.

"Ehm... Allora ti ci farò andare!"

E menatala prima per l'aia e poi in camera, le disse: "Vai nel giardino e portami un cetriolo".


(“Continua...” in giapponese!)

NOTE:
[1] Sinonimo di alterigia, presunzione, boria che deriva da una considerazione troppo alta di sé.
[2] Soffriva di meteorismo!
[3] Volgari, grossolani e a volte pure inutili.
[4] L'enfisema è una patologia che interessa i polmoni e viene classificata tra quelle di tipo polmonare ostruttivo. Per saperne di più continuate pure a fumare!
[5] Pamplona, città della Spagna, capoluogo della comunità autonoma della Navarra, è il luogo dove, durante le feste Los Sanfermines, si svolge l'Encierro la famosa corsa dei tori lasciati liberi di correre tra la folla.
[6] Capo d'abbigliamento per lo più usato dalle donne in Afghanistan e in Pakistan, solitamente di colore nero o blu, che copre sia la testa sia il corpo.
[7] Testo tratto dalla canzone Vorrei di Cesare Cremonini e Lunapop. L'anno però non me lo ricordo!


Anche se i sogni nel cassetto son desideri nel cassetto, please stay tuned!

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