sabato 18 novembre 2017

Il gatto con le scarpe da tennis.


Battuta concepita (è il caso di dirlo) alla fine della prima decade degli anni 2000, quando la mamma di BCO era ancora qua con noi, e pubblicata nel post di oggi perché ieri sarebbe stato il suo compleanno! A proposito, ieri è stato anche l'anniversario della portentosa nascita della BCO-sister Annamaria quindi facciamole tutti gli auguri, considerando soprattutto il fratello che si ritrova!
Comunque è incredibile come passa il tempo ma soprattutto quanto ne passa dal momento in cui BCO concepisce una vignetta e la sua realizzazione. Chissà per quale motivo, poi... BAH! Dormiamoci su...zzz...ZZZ...zzz...
-TIC!-
EH?
OH, Scialve a tutti!
Oggi, giusto per restare in tema (come dicono sempre i possessori della Lancia Thema quando non vogliono scendere) oggi vi presentiamo una nuova fiaba tratta dalla nostra rubrica «I racconti di mamma BCO!» intitolata: Il gatto con le scarpe da tennis.
Buona lettura!

Il gatto con le scarpe da tennis.
Di BCO. Cioè, la “versione” della fiaba è di BCO, non le scarpe da tennis!
L'avversione per BCO invece è proprio un'altra storia! Insomma, avete capito...
Liberamente tratto (autostradale) dalla fiaba popolare europea Il gatto con gli stivali (non chiedeteci però da quale versione perché non lo sappiamo e ce ne sono parecchie!).

C'era una volta un vecchio e piccolo mugnaio bianco con tre figli: uno di paglia, uno di legno e uno di mattoni, un asino, un gatto soriano e una papera senza nemmeno il becco (d'un quattrino).
Vecchiaia, fatiche e pubblicità alla televisione avevano logorato il corpo e la mente del mugnaio, tant'è vero che, giunto alla fine dei suoi giorni, divise i suoi averi tra i figliuoli:
"Al primo, il caro Arduino, lascio il mulino; al secondo, Alvaro, lascio il somaro; e per te, Fregato, non ho che il gato.".
Felicissimi, Alvaro ed Arduino erano Vitali e piattaforme hardware[1]:
"Io con il mio mulino bianco e tu con il tuo somaro sumero faremo società, con servizio di consegna del macinato al domicilio domiciliare dei clienti. Ci arricchiremo in pochi secoli!", e scapparono via urlando.
Rimasto solo, Fregato diede un'occhiata al “gato” e si grattò il capo:
"Io lo so che sei un buon gatto, e ti voglio bene. Ma se davvero sei furbo come dicono, taglia subito la corda e lasciami solo con la mia misera miseria. Con quel che so fare io posso garantirti soltanto sei cose: freddo d'inverno, caldo d'estate, errori di conteggio e fame tutto l'anno." disse al “gato” il buon Fregato che di fato era solo un povero laureato.
Il gatto, che fino a quel momento non aveva mai detto una parola a nessuno, gli strizzò l'occhio e cominciò a parlare, proprio mentre Fregato urlava dal dolore per via dell'occhio che gli era appena stato strizzato:
"Tu caro miao, devi solo fare due cose: procurarmi un paio di scarpe da ginnastica ed affidarti al miao ingegnoso ingegno; altro che... FAME I'm gonna live forever! I'm gonna learn how to fly--high!(Irene Cara, Fame O.S.T.)! Fra tre mesi saremo a Corte!".
"E perché proprio un paio di scarpe da ginnastica?" chiese incuriosito il giovane Fregato.
"E me lo chiedi? Per tutta la storia non dovrò fare altro che camminare, per chilometri e chilometri... Lascia almeno ch'io lo faccia con un paio di scarpe comode!" rispose leggermente stizzito il gattino, che aggiunse: "E mi serve anche un sacco! Mi serve proprio un sacco il sacco!".
Il giovanotto, dolorante all'occhio ma tutt'altro che convinto, fece spallucce (quelle imbottite, stile anni '80) e gli diede una carezzina sulla groppa:
"E bravo gatto!" esclamò:
"Allora sai anche parlare!".
Poi ci pensò su un attimo e, con il viso pallido, pieno di stupore, brufoli e meraviglia, si voltò di scatto a guardare esterrefatto il gatto, il quale tosto gli disse:
"Miao! Miao!".
"Ah, mi pareva!" si rincuorò Fregato.
"Il bisogno aguzza l'ingegno e scioglie la lingua anche ai gatti!" aggiunse poi la bestiola, divertita.
Faceva abbastanza caldo e Fregato, senza saper né leggere né scrivere (pur essendo laureato), svenne. Poi, riavutosi ma ancora un po' incredulo, portò con fare meccanico il suo mantello di pannolino (cioè di panno di lino) al monte di pietà, e col ricavato comprò un paio di scarpe da tennis e un sacco di iuta, con cui cucì un sacco di iuta bello grande; e tutto questo al gatto piacque un sacco, ma più di tutto il sacco cucito a mano. Poi Fregato si sdraiò un attimo all'ombra di un pino, ancora sotto choc, nel disperato tentativo di capirci qualcosa.
Il gatto, grande cashadùr de bàle[2], si mise subito al lavoro e meno di un'ora dopo stringeva tra le grinfie un bel leprotto, già pronto per la cottura, comprato al reparto macelleria del supermercato del centro commerciale spesso frequentato dalla TATA; e grazie al sacco di iuta l'astuto felino non dovette pagare i dieci centesimi alla cassa pel sacchettino di plastica.
Senza perdere tempo, con un sacco di leprotto nel sacco, andò alla Reggia, e si presentò al Raggiante Reggente, cioè al Re.
Si prosternò ai piedi del trono e poi, quando finalmente questi entrò nel salone, anche ai piedi del Re; poi tirò fuori il leprotto gridando:
"Ecco Maestà: mi invia il mio signore e padrone, il Marchese di Ebastaconquestadomandaaveterotto, con questo piccolo omaggio destinato al reale salmì!".
Al Re, che era un buongustaio, non parve vero accettare il dono... e ancora meno che un gatto parlasse; ma chi era quel simpatico Marchese dal nome così pittoresco che però non aveva mai sentito nominare? Boh! Anche sua figlia, la bella (e coerente) principessa Isabella, che era un buon partito, era rimasta bene impressionata dalle parole del gatto, oltre che dal fatto sapesse parlare; il feLino, nel frattempo, l'era già scappato fuori a procurare un po' di cena per sé e per il padrone, che era un buon-tempone, e a fare anche dell'altro, che vedremo poi...
E la mattina dopo, all'ora giusta, eccolo di nuovo stretto a Corte e pronto alla morte, stavolta con quattro favolosi fagiani dorati:
"Ti porto, o Sire, un modesto omaggio del mio signore e padrone, il Marchese di Ebastaconquestadomandaaveterotto, per i reali arrosti!".
E il Re a sfogliare il libro della Nobiltà, nella vana ricerca di quello sconosciuto Marchese.
E la bella (e coerente) Isabella a sognare a occhi aperti un possibile matrimonio con un così generoso e sollecito suddito, nella vana ricerca di un marito.
Insomma, per farla corta, tutte le mattine per più di un mese, si ripeté a Corte la medesima scena del gatto con le scarpe da tennis latore di gustosissimi messaggi da parte del Marchese di Ebastaconquestadomandaaveterotto, suo signore e padrone. Negli stessi assolati pomeriggi estivi invece, il gatto con le scarpe da tennis si recava dagli affaticati contadini, al lavoro nelle vicine campagne, a chiedere loro, per conto del Re, chi fosse il padrone di quelle terre feconde; e i contadini ogni giorno con costanza gli rispondevano:
"Sono dell'Orco Ezechiele che vive in quel castello là!".
Una mattina il gatto, sapendo che il Re sarebbe uscito con la bella figliuola per fare un giro rinfrescante sulla carrozza dorata (senza aria condizionata) nelle campagne circostanti, svegliò il padrone Fregato che giaceva sotto il pino -sempre sotto choc- ormai da più di un mese e, tutto eccitato, gli gridò con un megafono all'uopo preposto:
"Presto, presto, padroncino, spogliatevi dei vostri chiffon[3] e immergetevi nel laghetto che tra poco passerà di qui la carrozza reale!".
"Ma io non so nuotare!" ribatté Fregato, allibito (ma che un po' se n'era fatto una ragione), mentre si spogliava dei suoi umili stracci francesi.
"Su, su, nel laghetto! E già che ci siete, padroncino, lavatevi un po' che puzzate!" gridò il furbo gatto strappando contemporaneamente tutti i funghi chiodini che con l'andar dei giorni erano spuntati sulle spalle di Fregato.
"Ma io non so lavarmi!" ribatté nuovamente Fregato.
Al gatto caddero le braccia.
"Guardate padroncino! Là, proprio in mezzo al lago! Sembra un'enorme pepita d'oro!" urlò ancora più forte il gatto, e a quelle parole il buon Fregato istintivamente si tuffò di testa nel laghetto -nel quale non v'era invero più di mezzo metro d'acqua- piantandovisi come una palina[4].
Poi il gatto corse incontro alla carrozza Reale (fortunatamente sapeva distinguerla da quella finta) e cominciò a gemere, a sbracciarsi in modo provocante, a chiedere aiuto:
"Vi prego, Maestà, fate soccorrere il Marchese di Ebastaconquestadomandaaveterotto, mio signore e padrone!... Alcuni malviventi lo hanno spogliato sensualmente dei suoi preziosi abiti e lo hanno buttato ad annegare nel lago!".
Il Re, figurarsi, mandò subito paggi, saggi, formaggi, cavalieri, coppieri, ieri, maggiordomi, minordomi, ciambellani, ciambelle e ciambelline, consiglieri, più miti consiglieri e tutta la cianfrusaglia del suo seguito al pronto soccorso del suddito più generoso et nobile del regno, mentre due corriere (da quaranta posti ciascuna) a cavallo, partivano verso la Reggia per prendere dal guardaroba reale la più sontuosa tuta in pile che potessero trovare.
La bella Isabella stava per svenire (ma resistette), perché il povero Fregato -di nome e di fato- se ne stava ancora là a capasotto, piantato nel lago ma con le nudità inferiori in bella vista giusto fuori dall'acqua; ma quando le portarono dinanzi il presunto Marchese, tutto in ghingheri nella tuta reale (perché era di vero pile), vedendolo così giovane, ben fatto, bello e con una pelle fantastica (per via dei fanghi del lago che gli avevano curato l'acne), se ne innamorò in un battibaleno (il baleno accettò la sconfitta) e giurò a sé stessa che lo avrebbe fatto suo... sposo!
Il giovane salvato dalle acque ringraziò Sua Maestà, rese omaggio alla regale di lui e bella figlia, ed infine prese posto nella carrozza dorata che proseguì così il viaggio, preceduta nel suo percorso e di parecchio dal gatto con le scarpe da tennis. E lungo la strada, ogni volta che incontrava i famosi contadini (che ormai conosceva così bene) al lavoro nei campi, l'astuto gatto poneva (gridando) loro la solita domanda:
"Ehi buona gente! In nome del re: chi è il padrone di queste fertili terre?"
E i bravi contadini, come ogni santo giorno (anche se stavolta il loro tono era leggermente più seccato del solito) gli rispondevano in coro greco:
"Sono dell'Orco Ezechiele che vive in quel castello là!".
Poco dopo, giunta ivi (e finalmente) anche la carrozza, il Re s'affacciò dal finestrino per chiedere allo stesso contado:
"Ma di chi è questa bella terra?".
E i poveri contadini, che avevano risposto a quella domanda ogni giorno per più di un mese (ed erano tra l'altre cose tutti belli bolliti di fatica) sbottarono:
"E-basta-con-questa-domanda!-Avete-rotto, Sire.".
E mentre il Re guardava con occhi compiaciuti il giovane Fregato (congetturato Marchese di Ebastaconquestadomandaaveterotto) seduto nella sua carrozza piano-piano (anzi: pianino-pianino, anzi ancor meglio: panino-panino) riprendere colore, il gatto andava avanti come un sol gatto! Cammina cammina, finalmente la bestiola arrivò al castello dell'Orco Ezechiele -che era anche lupo- e, come detto, il vero padrone delle terre d'intorno, e avvisò subito di voler essere ricevuto; eccolo dunque, con avviso di ricevimento, dinanzi all'Orco.
Il gatto con le scarpe da ginnastica si esibì prima in un perfetto passo di Moonwalk, seguito da una vorticosa giravolta e successivo arresto sulle punte, degni del grande Michael J.; poi in una gran riverenza, poi in una penitenza, in uno sguardo in su, uno in giù, e infine dopo aver dato un bacio a chi voleva lui[5], riuscì finalmente a solleticare la vanità del mostro.
L'astuto felino pose infine l'ingenua domanda:
"Ma è proprio vero Signor Orco, che lei è capace di trasformarsi in qualsiasi animale vivente?... C'è chi dice di si e C'è chi dice no (Vasco Rossi, 1987)..."
L'Orco sbottò in una gran risata (picchiando la testa contro una mensola):
"Vorrei proprio vedere chi dice di no! Guarda!" e dinanzi al misero gatto, mezzo morto di paura, ecco ergersi al posto dell'Orco un cane rottweiler, grosso come il leone che ogni mattina in Africa deve svegliarsi e correre più veloce della gazzella o morirà di fame.
"Ba... Ba... basta!" gemé il Gatto:
"Son più che convinto e vedo benissimo che un orco grosso come lei può trasformarsi in un Orco-càn altrettanto grosso. Ma non avrebbe, nel suo catalogo di trasformazioni, qualcosa su scala ridotta? Sarebbe, per esempio, capace di diventare un topolino da due soldi, già pronto per essere venduto Alla Fiera dell'Est (A. Branduardi, 1976)?".
Altra sonora risata dell'Orcaccio, altra botta sulla mensola, ed ecco infine sulla gran poltrona apparire il mitico primo numero di Topolino, il famoso settimanale per ragazzi.
Il gatto -che non aspettava altro- gli fu addosso in un lampo e lo rinchiuse in una busta di plastica ermetica da collezionismo (sottovuoto) soffocandolo.
Poi la nostra furbissima bestiola si volse a tutta la servitù con occhi dolci e iniettati di sangue:
"Tra poco..." gridò col solito megafono: "...giungerà al castello la vettura d'orata con il Re e il vostro nuovo padrone. Voglio che sian ricevuti con tutti gli onori e tutti gli odori, con un gran pranzo di gala a base di pesce.".
Insomma: quello stesso giorno furono anche decise le nozze tra la bella (e coerente) Isabella e il coerente Fregato che si ritrovò fregato (per l'appunto) per la terza e ultima volta.
E il gatto? Oh, per sé non volle quasi niente (a parte il sacco che gli piaceva un sacco)! Si tolse per sempre le scarpe da ginnastica ormai consumate dal chilometraggio (che però rivendette su Ebay per una discreta somma, assieme all'orco trasformato nel n°1 di Topolino), non rivolse mai più la parola a nessuno più che altro per non scatenare il panico, e tornò al suo mestiere di gatto di buona famiglia reale.

"Larga la foglia, il racconto fiacco,
«Non dire gatto se non ce l'hai nel sacco!»
".

FIN.

[1] Arduino è una piattaforma hardware composta da una serie di schede elettroniche dotate di un microcontrollore. È stata ideata e sviluppata da alcuni membri dell'Interaction Design Institute di Ivrea come strumento per la prototipazione rapida e per scopi hobbistici, didattici e professionali.
[2] Cashadùr de bàle - Cacciatore di balle in dialetto Bresciano (almeno credo, n.d.BCO).
[3] Lo chiffon (dal francese chiffe, cencio o straccio) è un tessuto molto leggero, in armatura tela prodotto con filati a torsione crêpe, è soffice ma resistente, molto trasparente e leggermente crespato. È un tessuto ricco quanto fragile; difatti va lavato con molte precauzioni, preferibilmente a mano o a secco.
[4] A Venezia, la palina è un singolo palo isolato che serve in laguna principalmente per l'ormeggio temporaneo o permanente delle imbarcazioni.
[5] La bella lavanderina, nota filastrocca italiana.



Anche se siamo portatori sani di mal di testa, please stay tuned!

Nessun commento:

Posta un commento